SENZA VERITÀ, NON C'È AIUTO CHE TENGA

 

 

 

Una giornalista danese mi ha mandato un articolo dal quale si desume che anche in Danimarca si continua ancora, e spesso, a punire e picchiare i bambini. Nella lettera d'accompagnamento sostiene che, nell'epilogo di // bambino inascoltato, ho sopravvalutato la Scandinavia, perché il male non vi è stato affatto estirpato. Può darsi che abbia ragione, e che ci voglia ancora molto tempo prima che non ci siano più casi di bambini picchiati. Ma se l'opinione pubblica se ne indigna, questo costituisce ai miei occhi già un progresso, che è da attribuire — sia in Scandinavia, sia negli Stati Uniti — a una legislazione più umana. I pochi articoli pubblicati su questo tema in altri paesi sono ancora ben lontani dall'indignazione.

In Svizzera, per esempio, si è tentato di far approvare una legge che imponesse ai medici l'obbligo di denuncia dei casi di maltrattamenti di bambini da loro constatati. Ebbene, sono stati proprio i pediatri, gli psicopediatri, i medici di famiglia e gli esperti a ribellarsi con ogni mezzo al varo di una legge di questo tipo. Hanno compilato un documento che, all'insegna del motto «Aiutare anziché punire», spiega diffusamente perché una simile legge potrebbe essere, a sentir loro, pericolosa.

Questa petizione, diretta contro una legge più umana, è un documento del massimo interesse. E per questo lo riprendo qui integralmente.

Stimatissimo consigliere! Abbiamo appreso dalla stampa che nella riforma della legislazione penale si prevede che anche i casi di semplici lesioni personali e, inoltre, che il reiterato ricorso alle vie di fatto, specialmente ai danni di bambini, siano trasformati in reati perseguibili d'ufficio.

I maltrattamenti inflitti ai bambini sono un problema serio, con il quale i medici si devono confrontare da molto tempo. Ciò nonostante, i pediatri non erano rappresentati nella commissione di esperti che ha svolto i lavori preparatori, e non hanno quindi avuto occasione di esprimere il loro parere sul testo della nuova legge.

Per questa ragione, il 25 luglio del 1986, i sottoscritti, rappresentanti delle cliniche pediatriche universitarie e degli ospedali infantili di tutta la Svizzera, si sono riuniti in seduta comune. Sulla base della loro lunga esperienza, costituita dal continuo confronto con il problema dei maltrattamenti di bambini, si permettono quindi di prendere posizione sulla proposta di modifica del codice penale. f Noi riconosciamo che l'intenzione è quella di proteggere meglio i bambini con la nuova formulazione del menzionato articolo del codice penale. L'obiettivo di fare tutto il possibile per impedire o per evitare che si ripetano violenze e anche lesioni personali, danni psichici e trascuratezze ai danni di minori, corrisponde anche ai nostri intendimenti. Noi siamo tuttavia dell'unanime e fermo parere che non si possano concretamente preservare i bambini dai maltrattamenti ricorrendo alla legislazione penale, e che di conseguenza la prevista modifica del codice non porterà all'auspicata migliore protezione. Secondo la nostra esperienza — che corrisponde del resto alle esperienze fatte !'|n ogni altra parte del mondo — i bambini sono maltrattati d'impulso dai genitori, in condizioni di massima tensione psichica nonché pressione sociale. Di fronte a condizioni così estreme, non è il caso d'aspettarsi che dei genitori si facciano distogliere dal maltrattamento da disposizioni di natura penale.

Negli ultimi anni si è imposta a livello internazionale la consapevolezza che nella specifica problematica del maltrattamento dei minori procedere all'insegna del motto «Aiutare anziché punire» ha prospettive di molto maggiore successo e che in questo modo si possano garantire meglio sia la salvaguardia del bambino maltrattato, sia Duella della sua famiglia. Sull'esempio di altri paesi — soprattutto l'Olanda (ufficio del medico di fiducia), la Germania federale (centri per la protezione del bambino) e la Scandinavia — anche in Svizzera, gli ospedali infantili e da parte dei pediatri, si opera da 10-15 anni fecondo questo principio. Grazie a questo modo di procedere, il numero delle segnalazioni da parte degli interessati e da parte di estranei è in crescita costante, tanto che in molti casi si può offrire dell'aiuto autentico alle famiglie (quando è necessario, anche in collaborazione con l'autorità giudiziaria civile). La riforma del diritto penale cui si tende comporterebbe invece, secondo il nostro parere, i seguenti indesiderati effetti:

1. Il numero delle segnalazioni da parte di persone direttamente interessate (genitori, incaricati dell'assistenza, ecc.) diminuirà.

2. Il personale incaricato di assistere le madri, le vigilatrici d'infanzia, gli insegnanti nonché i vicini si guarderanno di nuovo, in misura crescente, dal segnalare i loro sospetti ai centri specializzati. E anche le segnalazioni da parte di estranei presumibilmente si ridurranno, per la stessa ragione.

3. Anche i pediatri e le altre autorità mediche esiteranno prima di rendere noto il sospetto di trovarsi di fronte a casi di maltrattamenti di bambini.

4. I minori feriti, in determinate circostanze, non saranno accompagnati negli ambulatori per essere sottoposti alle necessarie cure, o lo si farà troppo tardi.

5. La riabilitazione della famiglia può essere resa più difficile da un procedimento penale.

Vi è il grande pericolo che tutte le persone che si trovano confrontate col problema dei maltrattamenti e anche le autorità ufficiali assumano, in misura crescente, un atteggiamento di maggiore reticenza, per paura delle conseguenze di natura penale che deriverebbero alle famiglie, e che chiudano gli occhi di fronte al problema di cui sospettano l'esistenza. E questo significa che si farà di meno a favore dei bambini maltrattati e che si potrà soccorrerli meno di quanto avvenga ora. E questo senza che la quantità dei maltrattamenti diminuisca, nonostante il nuovo articolo di legge.

Per le menzionate ragioni, vorremmo pregarla, con insistenza, di riconsiderare le previste modifiche. Saremmo estremamente lieti se ci offrisse l'occasione di illustrarle personalmente il nostro punto di vista. Stranamente, gli esperti pretendono di aiutare i genitori tenendoli all'oscuro della verità e, con il loro comportamento, arrecano ai figli danni permanenti. E lo fanno nella convinzione di poter, in questo modo, prevenire qualcosa di peggio. Ma che valore ha questa convinzione? In tutta la letteratura specialistica relativa ai maltrattamenti inflitti a bambini, non si trova quasi menzione del fatto assodato che i genitori picchiano i figli soprattutto per poter consentire la rimozione dei loro stessi traumi. Eppure si continuano a pubblicare saggi che si definiscono scientifici e che vanno alla ricerca delle cause dei maltrattamenti infantili. Queste indagini danno l'impressione di qualcuno che, alla luce del sole, s'infili degli occhiali neri e si munisca d'una lampadina tascabile per cercare qualcosa che è invece perfettamente visibile a tutti gli altri presenti. A occhiali e ad analoghe bende sugli occhi si ricorre anche nella cosiddetta terapia dei genitori. C'è tantissima comprensione per il padre disoccupato che picchia i suoi figli. E si comprendono benissimo le ragioni di un manager stressato dal lavoro che si abbandona alle stesse violenze, specialmente se è stato irritato dalla moglie. C'è comprensione anche per la casalinga che non sa trattenersi dal picchiare il figlio quando le scappa il latte sul fornello. Sono tutte situazioni che si comprendono perché i terapeuti si sono a loro volta trovati, innumerevoli volte, a essere vittime di situazioni analoghe e hanno saputo ogni volta avere comprensione per i loro genitori. E in questo modo che sono stati allevati, ed è stato loro contemporaneamente insegnato che è pericoloso prendere coscienza della condizione in cui si trova il bambino.

In una circolare dell'associazione di Zurigo «Genitori in crisi», del 15 maggio 1987, si legge fra l'altro:

Un'insoddisfacente vita di coppia, delusioni patite nel ruolo di genitori, e inoltre aspettative e oneri di natura sociale che insorgano dal comportamento del bambino, possono rendere intollerabile la pressione psichica sui genitori.

È sulla base di simili, stravaganti modelli mentali che taluni operatori sociali 'curano' i 'poveri' genitori che hanno picchiato un loro figlio al punto da renderlo maturo per l'ospedale, perché il suo comportamento, da essi stessi condizionato, è divenuto loro insopportabile.

Senza informazioni corrette sulle cause e sulle conseguenze dei maltrattamenti infantili non si possono aiutare né i genitori, né i bambini. Tuttavia queste informazioni vengono prese sul serio solo quando la legislazione smette di ignorare il dato di fatto che i maltrattamenti inflitti ai bambini sono un crimine grave, e quando obbliga i medici a presentare denuncia. Una simile legislazione produrrebbe delle novità che sono da tempo necessarie. Come spiego nell'articolo pubblicato in appendice, la punizione del reato non deve necessariamente comportare la prigione: quel che conta è che si aiutino i genitori a non rifiutarsi di capire la loro stessa verità, in modo che possano trovare una via d'uscita dalla loro trappola. Il problema non è risolvibile ricorrendo alle belle parole e alle belle intenzioni. Ci sono casi in cui si può aiutare solo se al responsabile si prospettano delle pene, affinché cominci a intuire almeno la portata di ciò che ha fatto e anche di quello che è stato fatto a lui.

Si può aiutare solo colui che cerca l'aiuto, perché sa di trovarsi in uno stato di bisogno. Tuttavia, la maggior parte dei gènitori che infliggono ai loro figli pesanti sevizie non sono quasi consapevoli delle loro condizioni. Non provano nemmeno sensi di colpa, perché hanno sperimentato nella loro infanzia solo situazioni analoghe e hanno imparato a considerare simili trattamenti come giusti. Credono fermamente di picchiare e di trattare con crudeltà i loro figli perché ritengono che solo così questi possano formarsi un carattere nobile, e credono di sottoporre i loro figli a 'iniziazioni sessuali' quando invece si approfittano di loro per appagare i propri piaceri. Nella maggior parte dei casi, i padri incestuosi non riescono quasi a capire che il loro è un comportamento criminale. Come si può pretendere di 'aiutarli' senza spiegarglielo? E com'è possibile spiegarglielo finché si esita a definire i delitti commessi ai danni dei bambini come violazioni di legge perseguibili d'ufficio e a incardinare questo principio nella legislazione? I genitori che cercano l'aiuto della terapia o si rivolgono alle scuole per genitori sono già consapevoli del loro stato di bisogno. Però innumerevoli bambini sono esposti a gravissimi pericoli da parte dei loro genitori, perché questi non hanno il benché minimo rimorso di coscienza. Si possono soccorrere questi bambini solo con una nuova legislazione che definisca inequivocabilmente come un crimine il comportamento sin qui ritenuto 'normale' dei genitori. Colui che non sia stato messo nella condizione di condannare inequivocabilmente la malvagità, la perversione, la perfidia, la brutalità e l'ipocrisia, rimarrà disorientato e soggiacerà alla tentazione di ripetere ciecamente su altri la propria esperienza. Purtroppo questo dato di fatto è poco conosciuto, perché mette in discussione i valori tradizionali della morale e della religione. Quasi tutti i centri ufficiali per l'assistenza ai bambini maltrattati operano all'insegna del disorientante motto «Aiutare e non condannare», e sottolineano in continuazione di non volersi erigere, col loro intervento, a giudici del comportamento altrui. Però è proprio così facendo che rendono difficile agli interessati che vengono in cerca di aiuto il compito di sottrarsi alla coazione a ripetere quanto loro stessi hanno sperimentato: cosa che è possibile solo quando ciò che è avvenuto è anche denunciato nella sua illiceità, e i responsabili siano chiaramente condannati.

So di un caso di perversione estrema, a base di componenti sessuali, sadiche e religiose, cui un padre, di nascosto, si è per anni abbandonato con la figlia. Quando la faccenda si è risaputa — dopo un tentativo di suicidio della figlia — il padre ha sostenuto la sua assoluta innocenza. Lunghi tentativi di terapia «on sono riusciti a scuoterlo da questo suo atteggiamento: insisteva nel dirsi innocente perché la figlia, dopo ogni rapporto sessuale, gli perdonava il 'peccato'. È stato solo per caso che a doversi occupare dell'episodio si sia trovata un'assistente sociale di mentalità aperta, che è stata capace di risvegliare nel padre i ricordi della sua stessa infanzia e delle sensazioni a essa connesse. E sono così emersi, anche dal suo passato, strani giochi sessuali con la madre, in cui era forzatamente inserito anche un cerimoniale religioso: il bambino era costretto a recitare la parte del prete, a rimettere i peccati alla madre e a impartirle l'assoluzione. L'uomo sosteneva d'aver fatto tutto questo 'con grande gioia' perché, in quei momenti, la madre si mostrava umile e contrita, e per lui era un motivo di grande sollievo, considerato l'abituale comportamento imperioso della donna. Non era però più consapevole che quelle scene d'assoluzione gli incutevano grande paura, perché lo disorientavano, e perché costituivano solo la conclusione d'una catena di sevizie nel corso delle quali la madre lo violentava psichicamente e fisicamente e gli lanciava terribili minacce. Questa parte delle sue esperienze restava rimossa perché il bambino era stato abbandonato alla mercé della madre, perché non c'era stato nessuno che lo avesse preso sotto la sua protezione, e perché in tal modo gli era stato impedito di conservare un ricordo cosciente e completo della situazione in cui si era trovato. Tuttavia le esperienze immagazzinate hanno successivamente indotto l'adulto a ripetere sulla figlia le scene di stupro, minaccia e perdono. L'assenza di sensi di colpa si è unita alla convinzione che la madre, in quanto pia credente, doveva essere stata incolpevole e non poteva quindi in sostanza avergli mai fatto nulla di male. Solo la scoperta dei propri traumi, il riemergere delle sofferenze, della rabbia, dell'indignazione, dell'umiliazione e del disorientamento, gli hanno consentito di guardare con tristezza all'accaduto. E solo a questo punto ha anche potuto rammaricarsi di aver quasi mandato a morte la figlia, morte alla quale questa è sfuggita solo per miracolo o per caso. Soltanto quando ha osato considerare come tali i delitti che la madre aveva commesso su di lui, si è trovato nella condizione di non doverla più 'proteggere' con la ripetizione di questi delitti e col definire innocuo e innocente il suo comportamento. Questo padre non correrà più il rischio di abusare sessualmente di sua figlia, perché ora conosce la verità, mentre tutti gli esercizi di autocontrollo fatti in precedenza non lo avevano mai preservato dal farlo. Eppure le scuole per genitori propongono proprio questo genere d'esercizi, accompagnati dalla sconcertante indicazione dei terapeuti di avere 'piena comprensione' per l'abuso e di non volerlo denunciare in nessun caso. Io giudico questo atteggiamento sbagliato e fuorviante, perché finisce per avallare l'inammissibile comportamento del responsabile. Ogni maltrattamento inflitto a un bambino deve essere denunciato e non essere tollerato e compreso. Il ricorso ai maltrattamenti si può spiegare solo con riferimento alla perversione dei genitori del responsabile, ma questo non giustifica affatto il suo comportamento. Soltanto un'inequivocabile condanna dei maltrattamenti inflitti ai bambini consente alla società nel suo complesso e al singolo individuo di capire cosa di fatto accade e cosa tutto questo comporta. Occorre anche che sia ben chiaro che non si tratta d'un problema limitato a poche famiglie anomale e a singoli casi di perversione. Occorre che la società sia scossa dal suo sonno e bisogna spiegare che essa ha finora approvato il maggior delitto dell'umanità. Si tratta, in primo luogo, di cominciare a risvegliare i rimorsi di coscienza, che possono mancare completamente anche in casi in cui si siano prodotte delle mutilazioni fisiche a dei piccoli bambini. La pratica largamente diffusa della circoncisione mostra con quanta indifferenza, nelle svariate culture, si possa procedere alla crudele mutilazione degli organi sessuali dei bambini. E questo perché si tratta di una pratica imposta dalle istituzioni religiose e non è in nessun modo impedita dalle legislazioni civili. Al mondo e al giorno d'oggi ci sono 74 milioni di donne che sono state sottoposte da bambine alla clitoridectomia. La giustificazione mostruosa di questo delitto consiste, fra l'altro, nel voler impedire alla donna di trarre piacere dall'atto sessuale. Nel caso della circoncisione dei maschi i motivi cambiano, di cultura in cultura, ma a tutti questi motivi s'aggiunge la falsa asserzione secondo cui la circoncisione avverrebbe nell'interesse del bambino. Si sorvola, si finge di non vedere che si tratta d'una crudeltà che indurrà la futura persona adulta a commettere analoghe, simili e a loro volta impunite crudeltà, e a conferire alle sue azioni la legittimità della coscienza pulita, e questo benché alcuni scienziati abbiano ormai confutato tutte le 'motivazioni' fin qui addotte per giustificare la circoncisione. Così, per esempio, scrive Desmond Morris (1986, pagg. 218-220):

Per millenni e in molte e svariate culture si è in continuazione proceduto, con crudeltà e con una stupefacente varietà di modi, alla mutilazione degli organi genitali. Si è infierito sui genitali, si son prodotte sofferenze d'ogni genere per il solo fatto che questi organi possono essere fonte di piacere.

Nella maggior parte dei casi la violenza è prodotta mediante la mutilazione sia del maschio che della femmina. Queste sorprendenti forme di mutilazione sono più antiche della stessa civiltà. È verosimile che esistessero già nell'età della pietra. Benché nel caso della circoncisione ci si trovi con tutta evidenza dinanzi a lesioni intenzionali che gli adulti infliggono ai bambini, si è sempre preteso di farlo animati dalle migliori intenzioni. Nell'arco dei millenni innumerevoli persone sono morte d'infezione per questo, ma si è ritenuto che i rischi connessi a questa pratica fossero compensati da presunti vantaggi. Questi asseriti vantaggi hanno assunto di epoca in epoca e di cultura in cultura aspetti diversi, ma le più recenti indagini hanno dimostrato che non sono altro, e in ogni caso, che delle fandonie.

Una delle più antiche motivazioni della circoncisione maschile — l'eliminazione del prepuzio — era che garantiva l'immortalità sotto forma di sopravvivenza dopo la morte. Questa curiosa convinzione si basava sulla osservazione che il serpente si libera della pelle e riappare poi come 'rinato' nelle sue nuove, smaglianti scaglie. Se il serpente sperimenta una rinascita liberandosi della pelle, può farlo anche l'uomo. Il pene è il serpente, e il prepuzio è la pelle.

Quando la circoncisione è diventata — inizialmente nel Medio Oriente — una tradizione consolidata, non è più stato necessario far sopravvivere anche l'antica credenza. Essere circoncisi era il segno che contraddistingueva l'appartenenza a una certa comunità. La mutilazione rituale si è così sempre più diffusa. Gli antichi egizi l'hanno praticata fin dal 4000 a.C. Nell'Antico Testamento, Abramo impone la circoncisione. Alla circoncisione ricorrevano sia gli arabi che gli ebrei. Di Maometto si dice che fosse nato senza prepuzio (il che è possibile, perché la medicina conosce casi simili): un fatto che ha automaticamente condizionato la sorte dei prepuzi dei suoi futuri seguaci maschili. Col passare dei secoli, al posto delle motivazioni religiose, sono subentrate argomentazioni pseudo-mediche. La presenza del prepuzio — si sosteneva — era causa di 'malattie mentali masturbatorie', isteria, epilessia, enuresi notturna (e cioè incapacità di trattenere l'emissione di urine), incontinenza e irritabilità. Simili idee sono sopravvissute fino al nostro secolo e hanno portato perfino alla formazione di una Società di chirurgia orifiziale che si è dedicata esclusivamente alle 'modificazioni' di organi genitali 'sconvenienti' al fine di prevenire malattie mentali. Quando tutte queste sciocchezze sono state confutate, è subentrata una crisi. Che ragione addurre ora per giustificare la mutilazione degli organi genitali infantili? Occorreva che fosse di natura tale da corrispondere alle pretese scientifiche imposte dal clima razionalistico del ventesimo secolo. La risposta è apparsa nel 1932 sul periodico scientifico «The Lancet»: il prepuzio è causa di cancro! Verso la fine degli anni Trenta si procedeva alla circoncisione del 73% dei bambini statunitensi; nel 1973 la percentuale è salita all'84% e nel 1976 persine all'87%. Il cancro è diventato la versione profana dell'inferno e della dannazione, un'arma perfetta nelle mani dei seminatori di panico in una società post-religiosa. Per essere più precisi, si è sostenuto che lo smegma — la materia pastosa, bianco-gialla, che si raccoglie sotto il prepuzio — poteva essere la causa dell'insorgere del cancro al pene e del cancro delle ovaie nelle donne. L'autore del saggio con cui questa paura è stata fatta circolare per il mondo si è avvalso di statistiche errate, ma nessuno se ne è preoccupato perché il sospetto forniva di per sé, finalmente, un'altra plausibile ragione per tagliuzzare il pene dei bambini. Esperimenti successivi hanno dimostrato che lo smegma che si forma sotto il prepuzio non contiene nulla che possa anche solo lontanamente essere considerato cancerogeno; però questi esperimenti sono stati per lo più ignorati. Altri studi hanno dimostrato che le donne i cui uomini non circoncisi usavano sempre profilattici erano esposte al cancro delle ovaie in quantità né superiore né inferiore a quelle i cui mariti non usavano mai il preservativo. Ma nemmeno di questa constatazione si è voluto prendere atto. Nel corso d'una ricerca si sono confrontati i dati relativi a un paese in cui la circoncisione era sconosciuta con quelli d'un altro in cui tutti gli uomini erano circoncisi. I risultati hanno dimostrato, con grande sollievo degli assertori della circoncisione, che il cancro alla prostata era più frequente nel paese 'non circonciso'. Senonché questo tipo di cancro è un male tipico delle persone anziane, e quando si è approfondita la ricerca sulle varie fasce di età, è risultato che l'insorgere del cancro alla prostata era più frequente nei paesi 'circoncisi'.

La paura del cancro era assolutamente immotivata, e l'intervento chirurgico per la rimozione del prepuzio si è dimostrato, ancora una volta, un evidente rischio per la salute dei bambini. In molti casi insorgevano emorragie, ulcerazioni dei condotti urinari, lesioni indotte dall'intervento operatorio e infezioni locali. In alcuni, sia pure rari, la rimozione del prepuzio ha comportato anche la morte di bambini. Insorgevano anche danni meno palesi ma di più lunga durata: nei maschietti sottoposti a circoncisione si riscontrava un livello ormonale più elevato, quale si determina in presenza di stress; si alterava il ritmo del sonno; piangevano più spesso e diventavano più nervosi.

Ciò nonostante la circoncisione chirurgica prosegue allegramente, soprattutto nei paesi in cui la salute è considerata un fatto privato. È sintomatico che in Gran Bretagna, dall'epoca dell'introduzione del sistema sanitario nazionale e dell'assistenza medica gratuita, il numero degli interventi di circoncisione è drasticamente diminuito. Si pone inevitabilmente la domanda: come mai in un paese in cui quest'operazione non comporta più alcun profitto per i medici non si circoncide più nemmeno Pl% dei maschietti (nel 1972 sono stati lo 0,41%), mentre negli Stati Uniti, per esempio, nel corso di quello stesso anno, è stato circonciso più dell'80% dei bambini, con una spesa di oltre 200 milioni di dollari a carico degli istituti mutualistici? I nuovi dèi che pretendono il sacrificio del prepuzio sono meno sacri ma in compenso più portati agli affari. Anche giovani donne sono state e sono tuttora mutilate in modo analogo. La circoncisione femminile era rara nel mondo occidentale, ma ancora poco tempo fa un medico del Texas si dichiarava favorevole alla clitoridectomia per guarire la frigidità. I paesi nei quali ci si attiene più rigidamente a questa pratica sono l'Africa, il vicino Oriente, l'Indonesia e la Malaysia. Fa rizzare i capelli in testa il dato di fatto che la prassi di mutilare in tutto o in parte gli organi genitali esterni della donna non è affatto superata, ma anzi abituale ancora in più di venti paesi.

Non meno di 74 milioni di donne oggi viventi sono state mutilate in questo modo. Nei casi peggiori si procede all'abrasione o al taglio delle labbra vaginali esterne e della clitoride, e alla riduzione della vagina — coll'impiego di filo di seta, catgut oppure spine — a un'apertura minima, tale da consentire solo la minzione e la mestruazione. Dopo l'operazione si legano insieme le gambe delle bambine perché la ferita rimargini e si saldi meglio. Quando queste ragazze si sposano, sono i mariti che provvedono a sfondare con violenza l'apertura artificialmente ristretta. Con questa pratica si mira a togliere alle donne il piacere sessuale. Gli effetti collaterali consistono in numerosi casi di morte e di gravi malattie, conseguenze delle condizioni anti-igieniche in cui s'effettuano simili operazioni, specialmente in paesi come l'Oman, Yemen del Sud, Somalia, Gibuti, Sudan, e nei territori meridionali dell'Egitto, in Etiopia, nel Kenya settentrionale e nel Mali. Il fatto che simili pratiche possano continuare a sopravvivere nel ventesimo secolo, in presenza del moderno illuminismo, costituirà certo un mistero per gli storici del lontano futuro. Storici e psicologi si stupiranno e dovranno domandarsi ancora per parecchio tempo come e perché si arriva a simili assurdi comportamenti, e questo perché escludono completamente dalle loro riflessioni l'unica spiegazione giusta. Questa spiegazione non potrà tuttavia essere alla lunga accantonata, e s'imporrà senza alternative non appena non si aggirerà più la questione di cosa accade, in seguito, al bambino mutilato. Quando un bambino piccolo è torturato da adulti inconsapevoli, vorrà in futuro vendicarsi di questo trattamento, e lo riterrà una cosa giusta. È costretto a vendicarsi, a meno che l'esistenza che lo aspetta non gli consenta di guarire con amore dalle ferite subite, il che accade di rado. Di regola i bambini un tempo feriti feriranno a loro volta i figli e sosterranno che questo comportamento non è lesivo, poiché i loro amorosi genitori hanno fatto lo stesso con loro. Inoltre — nel caso della circoncisione — si tratta di un imperativo religioso, e a molta gente pare ancora impensabile che la religione possa infliggere delle crudeltà. E se invece l'impensabile fosse vero? È davvero il caso che i bambini, e poi ancora i bambini di questi bambini, siano sacrificati all'ignoranza dei preti? La chiesa ha impiegato 300 anni per accettare le prove di Galilei e per ammettere il proprio errore. Oggi non si tratta più di prove astronomiche, bensì delle pratiche conseguenze d'una presa di coscienza che potrebbe salvare l'umanità dall'autodistruzione, poiché è dimostrato da tempo che ogni comportamento distruttivo ha le sue radici nei traumi rimossi dell'infanzia. Non appena le legislazioni prenderanno sul serio i diritti del bambino enunciati dall'Unesco — diritti alla protezione e al rispetto — si dovrà tener conto anche dei dati di fatto, e cioè che le circoncisioni rituali:

1. non conferiscono vantaggio alcuno e sono delle mutilazioni;

2. impediscono una vita tranquilla e portano a sovreccitazioni che potrebbero esternarsi in modo distruttivo e autodistruttivo;

3. infliggono al bambino un trauma che comporta una lesione di tutto il suo essere;

4. non colpiscono, con le conseguenze di questa lesione, soltanto l'individuo che la subisce e i suoi discendenti, bensì anche altre persone.

Ogni colpevole è stato a suo tempo vittima, ma non tutte le vittime devono necessariamente diventare dei colpevoli. Tutto dipende dalla circostanza che un testimone consapevole possa aiutare la vittima a rendersi conto della crudeltà patita, vale a dire, a sentire e a comprendere che gli è stata inflitta una crudeltà. Ogni adulto colpevole non ha evidentemente potuto disporre nella fanciullezza di questo testimone, altrimenti non si sarebbe macchiato della Colpa (cfr. cap. i, 2). Tuttavia non è mai troppo tardi per l'intervento di un testimone. Ogni abuso è anche un'invocazione di aiuto. Terapeuti di mentalità aperta, medici, infermiere, giuristi, insegnanti possono diventare simili salvifici testimoni a patto che non si sottraggano alla verità e soccorrano in questo modo Ita il responsabile sia suo figlio. Una legislazione più umana, che la smetta di fingere di non vedere i delitti, ne sarebbe la necessaria premessa.

Quando mi rifaccio all'infanzia d'un criminale o d'un massacratore, non lo faccio mai per suscitare compassione per un mostro, bensì soltanto per descrivere e illustrare le circostanze in cui si crea un mostro, per spiegare come si può trasformare un bambino innocente in un essere di malvagità assoluta. Per fortuna la maggior parte degli uomini non è compresa in questi casi limite, perché sono stati messi nella condizione di salvare e sviluppare qualcosa delle loro inclinazioni migliori e positive, e d'identificarsi non completamente, ma solo in parte e in misura differenziata, nel ruolo dell'aggressore. Finché questa parte migliore, fin quando la capacità di sentire e di comprendere, non sia completamente eliminata, questi individui continuano ad avere la possibilità di riconoscere le loro stesse sofferenze, di rendersi conto di queste sofferenze, di riconoscere le loro vere cause e di liberarsi in questo modo dal male, e cioè dalla costrizione a fare del male.

Non appena sono in grado di sentire la loro miseria, sono anche capaci di comprendere l'angoscia altrui. E altre persone possono accompagnarli durante questo tragitto, confermar loro, da testimoni consapevoli, i loro sentimenti e la loro presa di coscienza, preservarli dall'autodistruzione, far loro capire che li si assiste con comprensione e simpatia: ma non di più. Il confronto col proprio passato è una cosa che può fare solo l'interessato, perché non c'è nessuno che possa compiere per lui questo passo. Se qualcuno fosse venuto da me e m'avesse riferito la storia della mia infanzia, in tutti i particolari che io ho ora rivangato, il suo racconto non avrebbe esercitato alcun effetto su di me. Potevo credere o meno a quella storia, ma anche nel primo caso non sarebbe stata per me altro che la storia di un'estranea, perché non l'avrei rivissuta dentro di me. L'unica via che è mi stata davvero d'aiuto nel rinunciare alla chiusura mentale, mi si è prospettata grazie ai sentimenti della bambina piccolissima che era in me e che era stata l'unica testimone degli abusi compiuti da sua madre. Perché sono poi riuscita a rinunciare alla rimozione? Perché ho voluto conoscere, a ogni costo, la verità, e perché infine ho trovato il testimone che mi ha aiutata a cercare questa verità (cfr. cap. n, 1). Grazie all'incontro con la mia infanzia, so che le tendenze distruttive e autodistruttive non possono essere radicalmente eliminate né con l'educazione, né con l'ausilio della terapia tradizionale. Per qualche tempo potrà sembrare che l'impresa riesca, soprattutto se le vittime dell'interessato tacciono. Ma se è egli stesso la vittima, la medicina gli impedirà, spesso mediante inutili operazioni, di accorgersi del male che arreca a se stesso. Ma prima o poi diverrà evidente che la distruzione della vita innesca solo dell'altra distruzione, e questo fino a quando il meccanismo non sia stato completamente capito e riconosciuto. La passata spietatezza dei genitori da frutti nei figli e li costringe a comportarsi con se stessi e con gli altri con l'identica spietatezza: almeno fino a quando rifuggiranno la verità.

La teoria junghiana dell'ombra, e l'illusione che il male sia l'altra faccia del bene, servono solo allo scopo di negare la realtà del male. Invece il male è reale. Non è innato, ma acquisito, e non è mai l'altra faccia del bene, bensì il distruttore del bene. Shakespeare lo aveva intuito. Aveva visto e mostrato le origini del male, e non ha mai tentato — come fa per esempio la psicoanalisi — di relativizzare il male mediante spiegazioni psicologiche. Riccardo m, Macbeth e altri sono malvagi perché sono dei distruttori di vite altrui, e tali restano anche quando si sappia perché sono diventati così. Il nostro sapere non può modificarli. Possono cambiare se stessi solo nel momento in cui sappiano non solo intuire a livello razionale, ma anche vivere emotivamente le circostanze in cui sono stati resi malvagi. Solo in questo caso possono rimuovere i blocchi mentali, e liberare, mediante l'esperienza delle sofferenze bloccate, il bambino a suo tempo seviziato, che non voleva fare del male a nessuno quando era venuto al mondo, il bambino che voleva amare e /che però non ha trovato nessuno che glielo rendesse possibile. J!a trovato ovunque barriere e filo spinato e ha creduto che quello fosse il mondo. Quando è diventato adulto, ha costruito inondi interi pieni di barriere e di filo spinato, oppure complessi sistemi filosofici e psicologici, sempre sperando, sempre aspettandosi di ricevere in cambio l'amore che — come fosse una 'vita senza valore' — non aveva mai avuto dai genitori. Il bambino maltrattato sedicente 'cattivo' diventa un cattivo adulto e crea poi un mondo cattivo se non lo soccorre una persona competente. Il bambino amato creerà un mondo diverso, perché la sua missione biologica consiste nel proteggere e non nel distruggere la vita umana. Non è vero che le componenti malvage, distruttive e perverse siano parti ineliminabili dell'esistenza umana, anche se c'è chi continua a sostenerlo. È vero invece che il male si riproduce costantemente e che col male si crea, per milioni di persone, un cumulo di sofferenze che sarebbero a loro volta evitabili. Il giorno in cui l'ignoranza scaturita dalla rimozione dell'infanzia sarà stata eliminata e l'umanità si sveglierà, potrà cessare la produzione del male.